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News della sezione Acqua Alta

11/09/2005 - La città, il Mose e gli scenari catastrofoci...

Da “Il Gazzettino” del 11/09/2005

«Ist Venedig das nächste New Orleans?», (Venezia è la prossima New Orleans?), titolava, venerdì scorso, la «Frankfurter Allgemeine Zeitung» una corrispondenza di Dirk Schmer in cui si faceva un parallelo tra quella lagunare e la città della Lousiana devastata dall'uragano Katrina. «Se al mondo esiste una città minacciata dall'acqua in modo analogo a New Orleans, questa è Venezia», vi si leggeva.
Si intensifica la contestazione alle dighe mobili da parte del "NoMose" a cui si sta contrapponendo un nascente movimento associazionistico che, assecondando la paura che da quel lontano '66 a Venezia non è cambiato nulla, ritengono che "perfetto o perfettibile" quel progetto, nato negli Anni Ottanta sotto amministrazioni non sospette, debba essere completato senza indugi.
Fatte salve le ragioni di entrambi gli schieramenti, resta da chiedersi cosa potrebbe succedere a Venezia, con o senza Mose, nel caso di eventi atmosferici eccezionali derivanti dai mutamenti climatici in atto, con il contributo di sviluppi imprevedibili dovuti all'innalzamento del mare (eustatismo) e dell'abbassamento del suolo (subsidenza). Infatti, chi avrebbe mai detto, fino a qualche giorno fa, che la super-organizzata Svizzera o la possente Germania sarebbero state messe in ginocchio da una anomala ondata estiva di maltempo. O che una importante e popolosa regione degli iper-pianificati Stati Uniti, massima potenza mondiale, abituata da sempre a convivere con i stagionali cicloni caraibici, sarebbe stata ridotta come i semi-primitivi villaggi delle coste dello Sri Lanka travolti dallo tsunami.
Si dice che il Mediterraneo è un mare chiuso, e che, a maggior ragione, le caratteristiche dell'Adriatico offrono solide garanzie; e che situazioni come quella del '66 si verificano una volta al secolo, per cui, citando una celebre frase del prof. Massimo Cacciari, "la soluzione al problema dell'acqua alta a Venezia si risolve con un paio di stivali". Eppure, le leggi speciali per Venezia sono state fatte perchè si riteneva che esistessero rischi reali, da cui sono discesi i progetti per la regolazione delle acque alte, e dunque, il Mose.
Mentre da un lato si è adottato lo slogan "Il Mose serve solo a chi lo fa", con l'inequivoco simbolo dello squalo, dall'altro circola l'ironica domanda «Ma se il Mose è di Destra, l'acqua alta è di Sinistra?», Venezia è nelle stesse condizioni del 3 novembre del '66. Pensare che "domani" potrebbe essere un 4 novembre, può far scoprire che -forse- l'aver comprato stivali alla coscia non era stato sufficiente.
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20/07/2005 - Acqua alta fuori stagione in piazza San Marco

Da “il Gazzettino” del 20/07/2005

La concomitanza della luna piena e del forte vento di bora che ha continuato a spirare per tutta la giornata ha provocato nella serata di ieri un'inedita acqua alta fuori stagione. Interessate le parti più basse della città e in particolare piazza San Marco, dove si sono create delle ampie zone allagate per la felicità dei numerosi turisti presenti.
Il fenomeno dell'acqua alta a luglio inoltrato è un fenomeno piuttosto raro anche se non infrequente. La previsione astronomica dell'Ufficio maree del Comune era di 71 centimetri, ai quali il vento ne ha aggiunti circa una decina.

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02/02/2005 - Sit - in di protesta degli abitanti contro il cantiere del Mose

Tratto da "Il Gazzettino" del 2 febbraio 2005 - pag. V

Manifestazione di protesta contro il Mose ieri pomeriggio a Punta Sabbioni. A posizionarsi di fronte al cantiere dove si stanno costruendo le opere propedeutiche alle dighe, con tanto di striscioni di protesta, sono stati gli abitanti del lungomare Dante Alighieri assieme ai componenti del comitato "I danni del Mose". Con loro, non sono mancati i rappresentati dell'amministrazione comunale, politici locali e gli attivisti dell'associazione ambientalista "Verdelitorale".
Un centinaio di manifestanti stanchi di convivere con rumori assordanti e gas di scarico a due passi da casa e preoccupati per le sorti di una delle zone più suggestive del Litorale, dove adesso incominciano ad arrivare le disdette dei turisti. "Nulla è cambiato - ha detto il presidente del comitato Nerio De Bortoli - dopo i convegni e i dibattiti dei mesi scorsi. La zona è diventata invivibile e la gente ormai è arrivata al limite della sopportazione. A preoccuparci non ci sono solo i rumori che durano dalle sette del mattino fino alle 19, ma anche le conseguenze che quest'opera provocherà nell'ambiente di Punta Sabbioni". Per questo, da tempo, il comitato ha chiesto che il cantiere venga spostato altrove e che vengano adottati interventi in grado di ridurre i disagi. In caso contrario ci potrebbe anche essere una protesta ogni settimana.

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01/02/2005 - «Soluzioni inusuali»

Tratto da "Il Gazzettino" del 1 febbraio 2005 - pag. IV

All'ing. Alberto Scotti, progettista del Mose, ieri devono essre fischiate le orecchie. Gli ingegneri Vincenzo Di Tella e Paolo Vielmo, infatti, non hanno solo attaccato la sua creatura (vedi servizio a lato), ma hanno anche pesantemente criticato con una nota il suo progetto per la realizzazione di un terminal petrolifero in mare. «Un progetto - hanno scritto - che si basa su soluzioni inusuali rispetto a tecnologie sperimentate e consolidate senza motivarne la scelta, carente per quanto riguarda le procedure operative per la gestione del terminale e la realizzazione delle condotte sia nella parte in laguna che in mare».
I due tecnici ex Tecnomare hanno sostenuto che non sono state esaminate soluzioni flessibili negli obiettivi, nei tempi di realizzazione e nei costi, e che dai dati meteo e dalle elaborazioni presentate si evince una discutibile determinazione delle condizioni estreme di progetto per le opere civili. «Il progetto - hanno sottolineato - esamina solo condizioni estreme per le opere civili, e non prende in considerazione le condizioni ambientali limite per le manovre di entrata nel porto e accosto agli attracchi».
La soluzione progettuale, hanno poi aggiunto Di Tella e Vielmo, non è mai messa in discussione e data come la migliore possibile. «Una soluzione del tutto inusuale di un megaporto off shore - hanno sostenuto -, e condotte in un tunnel a pressione atmosferica, con i costi di investimento così elevati e senza un'analisi dei rischi e una stima dei costi di gestione, richiede per legge un confronto tecnico/economico con soluzioni classiche di ormeggio a punto singolo, per il terminale off shore, e di condotte sottomarine interrate o protette in ambiente bagnato ("Wet") anche per la parte lagunare».
I due ingegneri hanno illustrato brevemente le più classiche soluzioni alternative suggerendo, per il terminal, di chiedere referenze alle tre ditte più conosciute al mondo, la Sbm di Monaco, la Bluewater olandese, la Sofec americana, e per le condotte ai leader mondiali che sono invece le italiane Saipem e Snamprogetti.

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01/02/2005 - Anche il Mose ha un peccato originale

Tratto da "Il Gazzettino" del 1 febbraio 2005 - pag. IV

Anche il Mose ha un peccato originale. Una scelta progettuale che a cascata ha imposto enormi appesantimenti e irrigidimenti dell'intera struttura, facendo lievitare a dismisura costi e tempi di realizzazione e costringendo a complicare, e dunque a rendere meno affidabile, l'architettura dell'intera macchina che dovrebbe difendere Venezia dalle acque alte eccezionali.
«Il risultato sarà un impatto devastante per l'ambiente lagunare», ha denunciato ieri l'ing. Vincenzo Di Tella, che a 4 anni dall'ideazione ha potuto illustrare alla commissione Legge speciale del Comune il suo progetto alternativo, sviluppato allo stadio di preliminare in collaborazione con gli ingegneri Paolo Vielmo e Gaetano Sebastiani: una sorta di Mose riveduto e corretto, che Di Tella ha brevettato.
«Il Mose è nato 30 anni fa e non tiene assolutamente conto dell'evoluzione dell'ingegneria off shore», ha sostenuto Vielmo, ricordando di essere stato incaricato dalla Fiat Impregilo, quand'essa faceva ancora parte della compagine societaria del Consorzio Venezia Nuova, dell'analisi critica del progetto. «Ma tutti i suggerimenti per la sua ottimizzazione - ha ricordato - più che un muro di gomma hanno trovato un muro di cemento armato».
Peccato che le opposizioni abbiano disertato in massa l'audizione: Di Tella, Sebastiani e Vielmo, infatti, non sono scatenati ambientalisti, né tre persone qualunque, ma probabilmente i tre massimi esperti italiani in progettazioni off shore, una vita professionale spesa nella Tecnomare a realizzare piattaforme oceaniche e le più diverse tecnologie marine in giro per il mondo, sopra e sotto l'acqua.
«Il Mose emerge contro corrente», ha spiegato Di Tella, evidenziando come la risultante tra la spinta netta di galleggiamento sulle paratoie, che si innalzano svuotandosi con pompe di aria compressa dei quasi 2 mila metri cubi d'acqua che le tengono a riposo sul fondo, e la spinta del battente di marea si traduca in una inversione dei carichi sui giunti che fissano i portelloni ai loro alloggiamenti. «La paratoia - ha insomma tradotto Di Tella - tende a strappare le sue cerniere, e sono pronto a discuterlo a tutti i livelli».
C'è, insomma, la possibilità di ribaltamento delle paratoie, e ciò ha imposto al progettista, Alberto Scotti, di prevedere delle strutture a collasso determinato che possano rompersi prima che cedano le paratoie, allagando tutto il tunnel di servizio e mettendo in crisi l'intero sistema. «Se Scotti ci facesse avere un suo curriculum - ha polemizzato Di Tella - dimostrandoci quante strutture off shore ha progettato in vita sua, forse capiremmo qualcosa di più».
Secondo Di Tella, il peso delle paratoie, sovradimensionate per evitare problemi di risonanza con le onde del mare, la necessità di enormi e non sperimentati connettori meccanici, il fatto che la loro gestione richieda un continuo e controllato pompaggio d'aria, hanno imposto il tunnel, 12 mila pali in cemento per le fondazioni per evitare cedimenti, ciclopiche spalle di sostegno, l'isola davanti al Bacàn, una centrale elettrica da 10 mila megawatt, i cantieri di costruzione a Malamocco, la conca di navigazione, il dragaggio di milioni di metri cubi di fondali, la demolizione delle dighe foranee. «Tutto - ha sottolineato Di Tella - tranne che graduale, sperimentale, reversibile come richiesto dalla legge».
Nel progetto Di Tella, invece, le paratoie a gravità si innalzano con la marea, restando zavorrate tranne una piccola camera di manovra che, svuotata di appena 50 tonnellate d'acqua con banali compressori, mette il sistema in movimento. «È il livello dell'acqua che fa salire le paratoie - ha spiegato il progettista -, il sistema è intrinsecamente stabile, non serve alcun controllo perché non dobbiamo lottare con la corrente, anche nel peggior dislivello di marea non c'è inversione di carico sulle cerniere». Dunque, tutto più leggero, più agile, adattabile ai fondali esistenti, realizzabile in un normale cantiere navale con tecnologie sperimentate e affidabili, installabile a pezzi.
A materiali e costi unitari analoghi, il Mose2 richiederebbe 2 anni di lavori contro 8 del Mose e costerebbe 1382 milioni di euro contro 2296 (2070 ha precisato Di Tella contro 3440 se venissero applicati i «mai visti» corrispettivi e gli oneri aggiuntivi del 50 per cento calcolati dal Consorzio), ma in acciaio e a gara d'appalto costerebbe 402,5 milioni di euro contro i 753,6 dei lavori in concessione unitaria al Consorzio. «Il Comune chiederà un confronto pubblico tra i due progetti nelle massime sedi», ha concluso la Commissione, ed è curioso che il Magistrato alle Acque, a cui Di Tella ha chiesto a luglio e a dicembre del 2003 di presentare il suo progetto, non abbia mai neppure risposto.
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